La prepotente elegia del mare
Irrispettosa, prepotente elegia del mare,
canto perpetuo dimentico del tuo stesso moto,
nenia dolce e vigorosa, spumeggiante e quieta.
Placido o iracondo che tu sia, accogli i nostri
pensieri, abbracci paziente le nostre debolezze e
incoraggi, cinico, la nostra superbia.
Di te ride il bambino, quando gioca
con l’ultimo tuo verso; al pari grida e fugge,
scappando impaurito dalla forte tua voce.
Con te sognano gli amanti, quando la notte si
tinge di lavanda e indaco, e a te nella sera
consegnano, fiduciosi, abbracci e speranze.
Verso te imprecano i rinnegati dalla vita,
i raminghi nell’anima, i prigionieri nel mondo,
cercando una dolce libertà e profondo senso di sé.
Contro te, apparente quiete e silenziosa immensità,
l’egoismo umano vomita il peccato del consumo,
la bulimia dell’ego, la tracotanza della presenza.
In te annegano le speranze degli ultimi, il respiro
dei più deboli, lo sbracciare invano degli esiliati,
le grida delle madri e l’ultimo sorriso dei bambini.
Te canto, al miraggio di terre sospirate e attese,
come compagno fedele di parte del mio andare;
a te affido a mani aperte la serenità di un approdo
che tra forti correnti ha l’audacia di un salpare sicuro.
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