Figli delle stelle
Vuoi che ieri era San Lorenzo, vuoi che certi pensieri mi ronzano sempre per la mente, ci sono due parole sulle quali vorrei soffermarmi, riflettere e condividerle: desiderare e arrecreare.
Parto dalla prima: desiderare.
Dobbiamo necessariamente alzare gli occhi al cielo per de-siderare, cioè per guardare attentamente le stelle. Ogni desiderio impegna molto più che la vista, perché richiede la grande abilità di saper andare oltre noi stessi e ciò che ci è intorno per sollevare lo sguardo e osservare. Osservare ciò che non è detto che sia, ciò che uno spera che sia, ciò che potrebbe essere quello che difficilmente si dimenticherà. Una stella che cade e un desiderio che si esprime e anche se siamo sfortunati e in quel pezzo di cielo stelle proprio non ne vediamo, i desideri che abbiamo nel cuore – ovvero quella grande aspettativa della stella cadente – stanno lì, impazienti, che vogliono essere espressi. De-siderare, volere intensamente qualcosa che è forse lontana, forse inaccessibile, forse disposta malamente verso di te porta a struggersi, eppure a emozionarsi. Porta ad essere piccoli custodi di un sogno soggetto alle altrui volontà, eppure grandi sognatori di avvenire strepitosi. Che bello: desiderare ed emozionarsi; perché ci si rende conto che la nostra grande ricchezza dell’ego smisurato si ferma di fronte a una piccola stella che cade e che ci mette a posto nei confronti del creato, rendendoci ciò che siamo: piccoli e bisognosi di Altro.
Concludo con la seconda: arricreare (o m’arrecreo)
Conobbi questo termine grazie ai miei amici dell’AC di Napoli. Mi entusiasmò incredibilmente conoscerne il significato, tanto che comprai più di una loro maglietta con questo slogan.
Arricreare significa – in una mia personalissima traduzione – rigenerarsi, rinascere. Ma aggiungerei anche, ed è questo il significato che vorrei approfondire, ricreare.
Ci arricrea un panorama, un buon piatto di pasta, un abbraccio, una giusta confidenza. Solo che così sembra una cosa momentanea, un aspetto puramente emotivo, che non credo appartenga alla vera natura napoletana. Credo ci sia qualcosa di più profondo, nell’arricrearsi. Se accettassimo la mia idea, del ricreare, siamo di fronte a una ricchezza semantica inaudita, perché ad esso possiamo collegarci un “fare nuove tutte le cose”, di biblica memoria, ma anche un’idea del ricominciare.
Nel kintsugi, tecnica giapponese del recupero di porcellane rotte con l’utilizzo dell’oro, nulla viene buttato, ma tutto viene conservato e anzi, impreziosito. Un modo per dire che sì, le rotture ci sono, come ci sono gli incidenti, le scelte sbagliate, le decisioni prese di testa, ma tra il perfetto e il rifiuto, c’è la cura, la dedizione, la pazienza, l’arte del rendere una cosa ormai andata ancora più preziosa. In pratica rigenerare, anzi, ricreare, arricreare.
Un abbraccio non può lavorare solo sulle emozioni di un momento: se è un vero abbraccio, quell’abbraccio abbassa totalmente le barriere e ci dà un luogo sicuro dove sfogare le nostre miserie e trovare non più il giudizio del mondo, ma il perdono che accoglie. Quell’abbraccio ci arricrea.
Cattolicamente parlando vedo il ricordo del battesimo come quella grazia che arricrea, perché consente di essere sempre nuovi e rendere nuove tutte le cose.
Desiderare, Arricrearsi. Amare, fondamentalmente.
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