Rispondere è cortesia…
Premessa: torno su questo articolo dopo mesi in cui, colpevolmente, l’ho lasciato nelle bozze senza correzione né modifica alcuna. Rileggendolo velocemente mi sembra ancora attuale, motivo per il quale lo pubblicherò, aggiungendo elementi nuovi, dal punto 6 in poi. Spero non ci siano anacronismi o problemi di lettura!
——————————
Pochi giorni fa, sulla Rubrica Scuola24 del Sole24ore è comparso questo articolo a firma di Attilio Oliva, Presidente dell’associazione treeLLLe, pare affiliata a Confindustria, attiva soprattutto in questi ultimi mesi e protagonista nella stesura dell’ormai legge “La buona scuola”.
Ammetto che la prima lettura l’ho compiuta quando ancora era in quel limbo tra l’ultimo sonno e la veglia, però già da allora qualcosa mi stonava. In una seconda lettura le cose non sono migliorate, anzi. Alcune posizioni sostenute dall’esimio Oliva non mi piacciono, c’è poco da fare. Non certo per una mera questione di gusto, ma perché le trovo anacronistiche e totalmente scisse da una realtà che, come attore protagonista all’interno della scuola e come parte lesa nel mondo del precariato, penso di conoscere abbastanza bene.
Quindi rispondo, per cortesia, ben sapendo che certamente queste parole non saranno mai lette da chi poi si permette di essere opinion maker senza magari aver mai fatto un giorno in una scuola di periferia, dietro la cattedra.
Val bene fare una premessa, che mi pone in una situazione media rispetto alle attuali posizioni in campo: reputo la riforma della scuola un mediocre tentativo di entrare nel cuore dei problemi. Mediocre perché foriero di alcuni provvedimenti (chiamata diretta in primis, ma anche mobilità nazionale) che nell’attuale panorama culturale italiano non possono essere popolari, perché il richiamo a una forma di clientelismo è sempre attuale, e non a torto. Oltre però alla sua mediocrità, ha in sé elementi ottimi (valutazione e maggior controllo, politiche di assunzione, …) e sicuramente l’aver sbloccato uno status quo legittimato da molti governi bipartisan ne costituisce un fattore di pregio. Il ritornare a parlare di scuola, ce lo ricorda anche Oliva, è un’ottima cosa! Renzi, a mio avviso, si è trovato nella non semplice posizione di voler cambiare qualcosa, con alle spalle però stratificazioni di problemi insolubili e il panico da ricorso immediato. Bene quindi un cambiamento e bene se la discussione concreta sulla scuola non trovi termine, ma si consolidi in modifiche sempre più serie e precise sui contenuti di questa riforma e sugli obiettivi generali dell’insegnare e, soprattutto, dell’educare.
Rispondo utilizzando l’elenco numerico proposto da Oliva, anche se, nel rispondere, farò un po’ di confusione!
1. e 2.: A mio avviso l’approccio è sbagliato e si confondono troppe cose. Faccio ordine: grazie alle sanatorie, grazie alla bassa considerazione sociale che ha l’insegnamento e alla sua considerazione come professione di ripiego dopo delusioni professionali in altri campi, grazie a un sindacalismo vergognoso, grazie alla quasi impossibilità di licenziamento, grazie a tutte queste cose (e oltre) noi vantiamo un rapporto insegnante-alunno pari a 1:11. Le riforme che minavano a diminuire questo numero (parlo della Gelmini, con i suoi tagli orizzontali) hanno provocato solo un tasso di precarietà intollerabile. Come rispondere? A mio avviso rispettando il turn-over, usando la valutazione come elemento di discernimento per chi occupa casualmente una cattedra e soprattutto facendo un serio reclutamento. Il concorso, nonostante il suo essere strumento utile (?) e valido (??) in altri settori della Pubblica Amministrazione, non è così valido per la scuola. L’esperienza della SSIS, rivista e corretta, poteva avere il suo perché: una selezione in ingresso, rispondente ai reali bisogni delle singole istituzioni scolastiche, corsi preparatori, esami e un tutoraggio costante e rigoroso (non ho sentito di persone escluse perché incapaci, e ne ho conosciute), il tutto unito a un esame conclusivo, sono strumenti seri per capire chi saranno quei (pochi, misurati) professori che saliranno in cattedra. Con buona pace di chi ci prova e non riesce, di chi fa altro e con un concorso spera di ottenere un posto fisso, di chi fresco da dottorati sa tutto lo scibile umano sulla propria materia, ma ignora elementi affettivo-relazionali indispensabili.
3. Troppe assenze e abbandoni e la colpa è una semplice mancanza di interesse da parte delle attività proposte. No, non ci siamo. Perché non siamo a un parco giochi, ma in una scuola. Ora, sia ben chiaro, l’interesse è categoria primaria nell’apprendimento, ma varrebbe la pena forse fare riferimento a quanto dice Morin o Recalcati; la scuola fallisce per una duplice ragione, a mio avviso: perché non è bella e perché non è attraente. Non è bella perché è fatiscente, è rovinata, è abbandonata; non è bella perché le sue mura non comunicano nulla, perché i suoi bagni senza porte e senza igiene non permettono di amarla, perché le sue bacheche piene di scotch e poca idea organizzativa non creano ordine nel solo vederli, perché la disorganizzazione porta alla confusione; perché la sfiducia che si respira porta a una sconfitta sociale. In più non è attraente: non lo è perché c’è l’apologetica del voto, che è un drammatico giudizio sulla persona; non è attraente perché perde di adesione con la realtà (e non quella lavorativa: basterebbe iniziare a fare domande del tipo “in cosa ti è utile Kant nella tua vita di tutti i giorni?”). Per evitare la dispersione forse bisognerebbe recuperare anche l’interesse. No, non quello per le materie, ma quello per i ragazzi da parte di noi professori. Quello è la base delle relazioni umane, quello è la base per crescere ed educare, ovvero per accompagnare un ragazzo in formazione verso nuovi mondi, verso la piena realizzazione di sé.
4. Non sono un fan delle scuole private, nonostante la mia matrice cattolica. Da tempo hanno perso quella ragione per la quale andrebbero aiutate, che è la qualità e la selezione. Personalmente non nego una forma di contribuzione, sebbene per me la scuola è pubblica e basta, ma solo quando gli istituti pubblici avranno sufficiente decoro ed autonomia. Solo allora.
5. Su questo punto concordo a pieno. La mancanza di continuità didattica è una piaga drammatica per i precari e per i soggetti in formazione ed effettivamente il POF – strumento di conoscenza dell’Offerta Formativa della scuola, ora PTOF, a progettualità triennale – non è ciò che serve per capire la qualità di una scuola. Andrebbe posta una seria revisione e una promozione, su scala nazionale, uguale e verificata (per evitare scuole di serie A, B, C….).
6. Baggianate. Il carattere enciclopedico non deriva da un’assurda e distopica teoria pedagogica, quanto da una peculiarità della nostra Italia, votata a un patrimonio culturale immenso che andrebbe preservato e fatto nostro. Attenzione, però: chi pretende di collegare il carattere enciclopedico alle sole conoscenze sbaglia e lo fa in malafede. La cultura è già di per sé competenza, perché è un sapere che diviene vita reale, a beneficio di un popolo e di un paese intero e si traduce in politica, cittadinanza, educazione, sviluppo. Semmai scimmiottando modelli anglosassoni che stiamo cadendo nel pregiudizio di pensare che l’umanesimo in cui siamo immersi è inutile o, altrimenti, eccessivo. Il latino non può e non deve essere trattato come materia opzionale perché il latino è la nostra cultura, è l’espressione delle nostre radici, è ciò che ci troviamo di fronte camminando per strada (soprattutto per chi abita nei grandi centri) o che visitiamo quando andiamo in giro. Il problema semmai è chiedersi quel latino, quella filosofia, quelle Scienze umane come concorrono a farci diventare cittadini consapevoli e lavoratori sempre più coscienti delle grandi trasformazioni in atto!
7. E tu, caro Oliva, sai che finché non c’è un ricambio generazionale serio, staremo sempre così? E che non basta un concorso per fare entrare giovani? E che puoi essere anche avanti con l’età o appena entrato in una classe, ma saper trasmettere è una meta-competenza, talvolta un carisma, che va costantemente aggiornato e verificato? E che la trasmissione in sé è necessaria a fronte di un programma corposo e semmai bisognerebbe ragionare su come la trasmissione possa essere meno unidirezionale, ma più interattiva?
8. Prendersela solo con la scuola è un bell’esercizio di spavalderia e di cattiveria. Su questo tema credo che una riflessione grande e matura sia da fare in seno alla società e si debba piuttosto ragionare di quali obiettivi si stia indirizzando la nostra Italia e, con essa, il Parlamento che ci rappresenta. Se non si danno strumenti (economici, disposizionali, logistici, indrastrutturali) alle famiglie tali da dover suscitare loro la richiesta di maggiore (in)formazione, e quindi se lasciamo i ragazzi che una volta a casa smettano di leggere, informarsi, conoscere… cosa pretendiamo dalla scuola? Di essere la fonte miracolosa di una conoscenza? Se è questa la richiesta, torniamo ai convitti e che questi siano ben strutturati: mensa, refettori comuni, biblioteca, dormitori, campi sportivi e aule didattiche dedicate per competenze. Poi ne riparliamo.
9. Invece di fare le pulci in un sistema già corrotto e rovinato, perché non gestire diversamente i capitoli di spesa globali? I docenti sono malpagati e non sono tanti, sono il necessario a fronte di molte discipline; le segreterie sono al collasso per personale non sempre qualificato, mal formato e poco motivato. In più il carico di richieste che passa tra il Dirigente scolastico (che brutto nome, molto aziendalistico), il DSGA (idem, ma perché la scuola è diventata un’azienda?) e il Consiglio di Istituto è sempre maggiore e sempre poco legato alla reale didattica.
Decidere responsabilmente di spendere meno nella Difesa o in altre aree significa stanziare fondi necessari per il raggiungimento di un precario equilibrio infrastrutturale e gestionale sul quale far valere le motivazioni di carattere pedagogico. Con buona pace dell’economia e della finanza.
Concludo questa lunga disamina con una riflessione, a più di sei mesi dalla stesura iniziale di questo post. Nel frattempo sono diventato di ruolo, assunto in fase C. Dovrei dire grazie alla Buona Scuola (Legge 107 del 2015) e in parte lo faccio, anche se il grazie più grande è bene darlo alla Commissione Europea che ha denunciato l’Italia per violazione dei contratti sul lavoro. Nonostante sia dentro, la dignità di me (allora supplente) non è molto cambiata. Si è inseriti in un gioco di supplenze, di recuperi, di richieste varie, di contrasti forti tra i colleghi e così via. Abbiamo acquisito dalla dirigenza scolastica obiettivi incerti su una normativa ancora mancante.
La riforma andava fatta e forse poteva essere migliore, ma è stato bene farla. Bisognerebbe però evitare di cadere in nuovi errori, che qui sintetizzo senza entrare troppo nel merito:
- Comprendere l’effettiva necessità del Potenziamento (qualcosa mi dice che i PTOF non basteranno) e pensare di dedicare docenti volontari allo svolgimento di questo compito.
- Evitare di indire nuovi concorsi: so bene che i TFA al momento sarebbero molto penalizzati e questo si potrebbe risolvere con una sanatoria; il concorso però non è, a mio avviso, lo strumento migliore per inserire a scuola persone. Non perché non ci debba essere un accertamento delle conoscenze, al contrario; ma stare in cattedra significa rispondere a molti più criteri che un solo concorso può garantire. L’esperienza della SSIS – lo ricordavo sopra – ben gestita e riorganizzata è lo strumento migliore e le iscrizioni per tale scuole devono essere successive alla laurea quinquennale o specialistica. L’insegnamento è una specializzazione post-lauream, dove si deve fare un monitoraggio continuo dello specializzando nella classe, monitoraggio onesto, ma severo e critico.
- Modificare quegli aspetti non chiari contenuti nell’attuale riforma e dare criteri attuativi in quelli lasciati ancora in sospeso (trasferimenti, mobilità, formazione ed aggiornamento…).
Si può fare molto per la Scuola, ma ancor di più per i nostri ragazzi. Basta lavorare per obiettivi, per interessi comuni e con giustizia e oggettività.
Chi commenta