A Sud di Roma, l’ISIS
Nella (in)sana incoscienza che l’Occidente continua a dimostrare in questi giorni, sto avvertendo un po’ di angoscia. In realtà è da un po’ che la avverto, ma forse – accomunato da tante persone – si reputava il medio e vicino oriente e l’Africa sahariana come mondi ancora lontani, senza troppa dignità, verso cui essere affezionati il tempo di una manifestazione della lettura di un articolo. Poco interessa se poi c’è una strage al giorno, di quelle da centinaia (cen-ti-na-ia) di morti al giorni, che al confronto quella dei 15 europei uccisi sarebbe una notizia da trafiletto di un giornale di seconda categoria.
Poco importa, poi, se su quegli stessi paesi molti di noi ci hanno fatto le vacanze, un pellegrinaggio, una punta. Ho il ricordo di quando, passeggiando per le vie di Mostar, in Bosnia, si scorgono dei cimiteri per strada; tombe che hanno in comune la data di morte, quella tra il 1993 e il 1994. Quest’ultimo è l’anno in cui io entravo alle superiori, con i miei amici ci preparavamo per i mondiali degli USA, ero appena andato a Parigi in vacanza con i miei, avevo le prime cotte. I 14 anni che molti dei miei coetani non hanno vissuto, e stavano a circa 600km in linea d’aria; stavano in un luogo dove pochi anni dopo avrei fatto una vacanza. Certo, allora fu un conflitto locale, di matrice etnica, di popoli costretti a stare uniti per una folle idea comunista di stato pur essendo diversi per lingua, cultura e religione; ora la situazione è diversa, ben più terribile e atroce. Stiamo parlando di come un gruppo di persone, solo all’apparenza disorganizzato, mosso da un fanatismo religioso che di religioso non ha proprio nulla, sta cambiando totalmente il disegno geopolitico del mondo.
Non sono un grande studioso del mondo islamico, né sono un grande analista. Da presunto insegnante di Storia qual potrei essere un po’ me ne vergogno, ma va così. Noto però alcuni aspetti: intanto, non si tratta di un solo movimento compatto, ma di cellule sparse su diversi territori (anche insospettabili) che si coalizzano. La Mogherini, in una recente puntata di Che tempo che fa, ha parlato di un franchising dell’Isis. Questo significa che alcune di queste cellule già si sono palesate (Boko Haram, zone della Libia, Siria, …), altre potrebbero uscire allo scoperto a breve (temo soprattutto in Marocco, in Tunisia e in Turchia). Altre cellule, minori come numero, ma più simboliche come presenza potrebbero tranquillamente risiedere a pochi metri da noi, come già verificato a Parigi. L’Isis, inoltre, è solo apparentemente un gruppo di rozzi pecorari mossi da intenti omicidi. Conoscono il loro successo grazie ai tanti armamenti che ora l’America, ora la Russia, ora l’Europa ha dato loro per difendersi dal nemico, che ogni tanto cambiava casacca e provocava nascoste reazioni. Conoscono il potere dei Social network (fra tutti, la recente promozione dell’hashtag #We_Are_Coming_O_Rome), pubblicano video drammatici su internet, mobilitando così sdegno, reazioni e purtroppo un’eccessiva diffusione dell’orrore: hanno provocato la reazione di Anonymous. Hanno probabilmente un piano certo su come arrivare in Europa. E non è detto che arrivino dall’Italia, che è un confine fin troppo semplice e controllato da gestire a livello internazionale.
Insomma, un mix di cose che non fanno proprio dormire sonni tranquilli. E non basta la mitica ironia del popolo romano a tranquillizzarmi, per quanto spettacolare e irriverente sia. A questo punto, mi chiedo io come cittadino italiano ed europeo, cosa fare? Che contromisure prendere? Soluzione diplomatica o interventismo?
Soluzione diplomatica? Bene, ma con chi? Cioè, ci sarebbe margine di mediazione? Dove si incontrano i leader (chi sono?) dell’Isis? E per trovare quale forma di compromesso? E perché si sente la necessità di una soluzione diplomatica solo ora che stanno lì a sei ore di traghetto da noi? E ancora, ma il mondo musulmano – che si sa che non ha un leader come il Papa per noi cristiani – cosa sta effettivamente facendo? A questo punto, la mia idea di soluzione diplomatica sarebbe, tanto per iniziare: a) richiesta che gli Imam presenti su territori non arabi possano fare la loro predica nella lingua locale, rendendola così comprensibile; b) uno sforzo da parte dei governi per censire e consentire maggiore libertà di culto; c) fronte compatto dei paesi confinanti con l’Isis contro di loro, chiusura delle frontiere, delle importazioni, del commercio manifesto di armi.
Soluzione militare? Meno bene, ma temo sarà inevitabile. A questo punto però o l’ONU (o quel che rimane) si dà una sveglia o l’Italia da sola (o la Grecia o la Spagna o la Turchia o l’Egitto) da soli non possono fare molto. L’intervento dovrebbe essere veloce, mirato, da terra e da cielo e su più fronti. L’Isis non va compreso e reso inoffensivo; a mio avviso va estirpato perché non è uno stato col quale ragionale, scendere a patti, confrontarsi. E soprattutto non è uno stato musulmano, così come loro continuano a farci intendere.
Altro sfogo, dopo quello della scuola. Altri two cents spesi per la causa del blog e come sfogo. Coraggiosi voi se avete letto fino a qua!
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