Ciò che non c’è
Durante la giornata appena trascorsa, passata quasi interamente offline, mi è venuta in mente una sorta di riflessione.
Del vero Natale noi abbiamo conservato veramente poco. Neppure quelli più ortodossi sfuggono dall’idea del cenone e/o del pranzo e giù a spender soldi e a ricreare insiemi di parenti serpenti che, sorridenti, fingono la piacevolezza dello stare insieme.
Sarà poi che io vivo all’opposto, nell’intimità talvota fastidiosa di una casa vissuta dai miei e, per una camera e poco più, da me.
Insomma, arrivo al dunque.
Dal Natale vero, quello originale, dovremmo prendere due cose, dimenticate e reiette: il silenzio e le parole.
Il silenzio, perché nella grotta e nei suoi dintorni non c’era il caos, né il roboante logorio di una città in movimento. C’era la quiete della notte, un silenzio certo non imbarazzante ma che parlava. Ai cuori dei presenti raccontava una grandissima gioia. Era un silenzio che rallegrava e riscaldava il cuore freddo dall’umidità e dalle delusioni del mondo.
Le parole, quelle giuste. Non ci sono stati sproloqui, nessun discorso, nessuna trattazione teologica. Di fronte al Bambino Gesù ha parlato l’angelo che ha detto “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace sulla terra agli uomini che Egli ama”. E poi basta. Perché le parole vanno sapute usare, risparmiate e scelte. Non abusate ma protette. Non disperse ma raccolte. Non gettate ma pesate nelle bilancie di senso e verità.
Ecco ciò che vorrei intorno a (e dentro) me. Il Silenzio che rallegra e le Parole che custodiscono un senso.
Buon tempo di Natale, ne abbiamo ancora due settimane!
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