Se la mela non fosse di nessuno
Qualche giorno fa volevo scrivere su wikipedia, sulla sua (non) probabile chiusura, sulla cultura e sulla libertà. Poi ieri è morto Steve Jobs.
Ora mi trovo a unire un po’ di pensieri su tutti questi aspetti, un po’ come i puntini di Jobs. O almeno ci provo!
Il motivo per cui avrebbe potuto chiudere wikipedia è dei più beceri e infanganti per uno stato di – presunto – diritto quale è il nostro. L’obbligo di rettifica è quasi assurdo tanto quanto l’applicazione cieca della par condicio. Serve solo a minare sempre più il valore antropologico, culturale e costituzionale della libertà di espressione. Su questo c’è veramente poco da discutere, perché di risposta al sacro e inalienabile diritto d’espressione sopra citato c’è il reato di diffamazione. Chi si sente leso si rivolge al giudice che valutera, contestualizzando l’intervento (se, cioè, proviene da persona qualsiasi, ente o istituzione, se è ironico o meno, etc..) e valutando una possibile sanzione, anche penale.
L’uno-due tutto italiano di Nonciclopedia e Wikipedia è stato tanto ridicolo quanto pericoloso. Ma noi continuiamo a dircele queste cose e fuori nulla cambia, anzi peggiora.
Ora però il provocatore, ironico e destrutturalista sono io nel porre questa domanda: ma se davvero Wikipedia avesse chiuso, sarebbe stato un così grande danno in termini di cultura?
Ripeto: cultura, e non leggi, principi, etc.. etc.. cultura, cioè quell’insieme di conoscenze, tradizioni, ragionamento, sintesi, valori, innovazioni, etc.. etc…
Faccio il cattivo e dico: no. Non sarebbe stato un danno.
Forse perché dalla mia visione agiata di prof immerso nella tecnologia vivo entrambi gli aspetti, presumendo in realtà di capire un po’ i criteri di avvicinamento a questi servizi. Lo vedo almeno in gran parte dei miei studenti e in tanti miei colleghi, scoraggiati dal chiedere la classica e ormai vetusta ricerca a casa su un tema particolare. Lo vedo, dicevo, negli studenti quando wikipedia viene presa e assunta come unica fonte di informazione, nonostante le tante premure che mettiamo nel far capire come sia una tra le tante.
Non perché manchino le voci o sia sbagliata l’idea di un’enciclopedia libera e aperta! Anzi, ben venga e spero ce ne siano di altre! E neppure perché è fatta male, perché diciamocelo: chi è che non ha almeno una volta spulciato il contenuto di una pagina prima di fare la sua lezione o di parlare di chissà qualcosa o anche solo per cercare la vita del proprio cantante preferito o di quel film. Insomma: non si critica né il fatto che ci sia né – in fondo – la sua qualità.
Su quali basi allora poggia la critica e dove voglio andare a parare?
A mio avviso abbiamo fallito l’idea che i più giovani interpretino correttamente l’ipertestualità e che il loro essere nativi tecnologici porti automaticamente a sperimentarla e a capirne il senso più profondo. La piattaforma wiki stessa si basa unicamente su parole chiave, nodi, che generano una navigazione frammentaria e orizzontale. Se la nostra era verticale (leggevamo un articolo della Treccani dal titolo all’ultima riga), abbiamo presunto che loro si muovessero orizzontalmente, che aprissero i loro frames a una molteplicità di informazioni collegate tra loro da nodi semantici, links.
Qui, a mio avviso, c’è stato il nostro fallimento.
Il tipo di approccio dei nostri giovani (e spesso anche nostro, che fingiamo di essere sempre adolescenti) è di tipo confusionario, fuzzy, senza che però in questo stato fumoso vi sia un logos che funga da elemento ermeneutico. I giovani, o gran parte di essi, hanno un approccio proto-lineare al testo, legato a pochi elementi di coerenza col contesto in cui questo testo viene prodotto. Tanto basta perché un articolo sia l’articolo, perché quel frammento di nozione sia la nozione.
Il successo di wikipedia sta nella sua copia-incollabilità. Poche parole che contestualizzano una domanda formativa (Fate una ricerca su…) e il piatto è pronto. Non vi è una selezione a valle, che maturi un senso critico interno al testo stesso.
Sulle cause di questa mia chiave di lettura del mondo ci sarebbe molto da dire. Forse l’immenso bombardamento di stimoli cognitivi e contenutistici che viene dalla TV, forse l’incapacità che la TV ha di mantenere un collegamento stabile nel suo flusso interno di trasmissioni (si pensi alla pubblicità che blocca un continuum del film e richiede la tua attenzione selettiva su molti prodotti, differenti per scopi e percezione estetica), forse la mancanza di uno stimolo educativo serio nel preservare una cultura libresca, quindi scritta, e non orale, quindi visiva. Se ne può discutere e a lungo.
Wikipedia però non è morta ma il rischio è che a venir meno possono essere le nostre capacità di creare una sintesi, di produrre cultura, di aumentare la conoscenza.
Conoscenza e innovazione, uniti al looking good, li abbiamo invero trovati nella buon anima di Steve Jobs. Al quale dobbiamo veramente essere grati perché le sue rivoluzioni digitali non sono mai state fine a se stesse ma hanno sinceramente trovato la loro usabilità nella vita quotidiana. Grafici, musicisti hanno beneficiato sin dalle origini dei prodotti Apple; i giovani hanno ritrovato il loro walkman sotto i loro polpastrelli; i manager hanno potuto portare con sé, in maniera cool, il lavoro a casa.
Steve Jobs credeva nella tecnologia, ma aveva bene a cuore che tutto parte dalla cultura. Non a caso, è stato detto in uno delle puntate di qualche talk-show di questi giorni, amava il rinascimento italiano perché questo era sintesi di cultura, innovazione delle scienze, rispetto per i canoni estetici, armonia con la natura, e così via.
Steve Jobs ci lascia anche una pesante eredità. Quella di essere, assieme alla sua Apple, il primo (secondo?) monopolista del mondo digitale. Ecco forse l’unica sua pecca e il perché non mi ha mai convinto nell’utilizzo dei suoi prodotti (oltre che per il prezzo). La cultura, l’innovazione e il progresso debbono essere liberi, ovvero modificabili e migliorabili, non solo tramite App, ma lavorando sin nel nocciolo del codice di programmazione.
Se debbo “pensare differente” ho bisogno di credere che tutti collaboriamo al progresso del mondo. Wikipedia l’ha intuito, Linux (e parzialmente Android) si sforza di metterlo in pratica con molte limitazioni, noi stessi abbiamo le nostre vite per essere portatori di conoscenza ed editor della cultura.
Ad ogni modo, restano qui le mie confuse idee che forse, e dico forse, sono riuscito ad unire puntino per puntino.
A calce del mio articolo lascio il discorso di Steve Jobs all’università di Stanford sperando che voi, e me stesso assieme a voi, siamo “affamati” e anche “folli”.
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