Sono 30, ma non facciamolo sapere a nessuno
…avevo pochi anni e vent’anni sembran pochi,
poi ti volti a guardarli e non li trovi più.“
Curioso il fatto che torni a scrivere sul blog proprio in questo momento, alla vigilia del mio cambio di data anagrafico.
Curioso perché non scrivo da tanto (forse per colpa di Facebook, che prima o poi cancellerò) e perché non penso che quello che scriverò sia l’avvio di una nuova stagione del mio blog.
Mi va di parlare un po’, di sfogarmi e chi mi sente mi sente.
Son 30, dicevo. Trenta… suona roboante questa cifra, quasi come se il giovanile venti dovesse mettersi in disparte per permettere al trenta di entrare, barocco e lussureggiante, rumosoro e così stupidamente onomatopeico.
Non so ancora cosa fare e fondamentalmente non proprio SE fare qualcosa. Probabilmente non festeggierò se non con i più prossimi. Perché? Boh.
Noia? Accidia? Insoddisfazioni? Paura di crescere? Solitudine? Mancanza di spirito di iniziativa? Mancanza di vicinanza e solidarietà? Eventi strani, inspiegabili e, talvolta, sfavorevoli?
Facciamone un bel cocktail, aggiungiamoci altri ingredienti segreti (ma che danno un sapore univoco alla miscela) e serviamo questa bevanda fredda. Due sorsi e via. Ecco sfilare il mio b-day.
Trent’anni.
Potrebbero essere i secondi 15 anni, a pensarci bene. Ma non lo sono. Sono 30, tutti interi e senza sconti.
Trent’anni.
Dopotutto sono pur qualcosa: raggiungimento di obiettivi, punto di svolta, scherzi con amici sul cambio data e fantasiose peripezie peterpaniane.
Non che non ci sia niente, ma c’è poco. E me ne dispiaccio.
Intorno a me sento tanta individualità e poche relazioni amicali, di quelle che i trentenni dovrebbero necessariamente avere, quasi come un diritto inalienabile.
Dentro di me sento così tanti sentimenti contrastanti che a malapena riesco a tessere le fila della mia esistenza e a camminare con la testa alta (come ho sempre fatto), sebbene né gli occhi puntino tanto oltre il mio semplice sguardo, né le spalle larghe sembrano reggere il peso di tanta contraddittorietà.
Al di fuori di me c’è il rituale burocratico-amministrativo della vita: tasse (ora scopro l’amaro significato di questa parola, nonché l’assurdità di una così onerosa richiesta); il tuo lavoro che non c’è e che quando c’è vale poco, veramente poco; il caldo che soffoca e non fa pensare; la visione del verde di un parco e dei colli tuscolani-albani, entrambi troppo distanti nel loro essere a portata di mano; la somma delle relazioni che vanno avanti con tanti mah e troppo pochi sì.
Aggiungiamo a questa lista la lontananza della musica. Chi mi conosce sa cosa vuol dire che io ne sia lontano: è in gioco me stesso.
Già, chi mi conosce.
Chi mi conosce sa che io non sono così. Sa che quanto ho scritto è un periodo e non può essere per sempre.
Io mi conosco? Ho fiducia in me? Saprò rialzarmi da questo momento che non è solo un inciampo occasionale, ma forse qualcosa di più profondo?
Tu, o Dio, che mi conosci e che forse per questo prepari a ferro&fuoco il mio giudizio, hai qualche ciambella di salvataggio?
Vabbè, ora facciamola meno tragica.
Pur se ero partito col falò sulla spiaggia e mi ritroverò a vedere Harry Potter (tanto di cappello per la Rowling, ma non è la stessa cosa), oggi è pur sempre il mio compleanno.
Soffierò sulla candelina, cercherò il mio regalo togliendomi qualche sfizio e sorriderò (questo sì, a me non mancherà mai il sorriso) al mondo.
Auguri Marco, buoni 30 anni.
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