He can, i could (not)
Et voilà, o meglio: here He comes!
Eccolo qua, appena giurato e sfornato, il nostro (loro) 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America.
Yes, He can!
Lui può divenire presidente degli USA. Può parlare alla nazione, può lanciare temi e tematiche.
Sia ben chiaro: non è un santo o un profeta. Concordo con chi dice che è esagerato parlare di lui come il salvatore del mondo.
Il suo discorso è stato privo di ogni retorica; senza immagini forte, simbolicamente contraddistinte. Anche qua, chi si aspettava un nuovo discorso alla Martin Luther King ha dovuto ricredersi, forse un po’ deluso. No, signori: questo discorso è stato vago, generico, ma concreto quanto basta nell’indentificare alcuni elementi chiave del suo pontif.. ops.. governo alla White House.
Yes, He can!
Lui può parlare accusando i colpevoli della crisi economica in corso, può lanciare messaggi su ciò che farà a livello di infrastrutture, può dire che l’ambiente è un nodo cruciale per l’ecologia (ed economia) globale dei prossimi anni.
Lui può invocare una sanità più giusta così come può parlare di una scuola che deve servirsi delle tecnologie per crescere insieme alla società.
Yes, He can!
Può, legittimamente e in continuità con G.W. Bush Jr, invocare un pugno duro verso i terroristi (chi non lo farebbe?) ma può anche dire, qui forse la retorica è presente, che non sono i carrarmati o la violenza a garantire e giustificare la necessità della pace, bensì i dialoghi e le relazioni internazionali.
Può prendersela contro chi “fa quello che gli pare”, maliziosamente intendendo che molte delle guerre finora portate avanti sono state figlie di capricci: lui può!
Yes, He can!
Sì, lui può e l’ha fatto. Chiaro, pratico e sintetico. Con l’indice puntato e con il palmo della mano aperto, insieme. Nonché con lo sguardo aperto, che mira verso l’orizzonte. Sì, lui può dare speranza, non vana ma più concreta del tanto fumo con il quale i suoi colleghi possono riempire intere pagine di discorsi.
Yes, He can but… could I too?
Qui no, non so proprio. Parlavo di speranza (quella con la s minuscola eh, sia bene inteso). Posso confidare anche io nella politica per sperare di avere un mondo migliore?
Non parlo di un mondo eccessivamente migliore… ma insomma… capiamoci!
Un mondo dove lavorare non è una chimera ma un diritto, impegnarsi un dovere e meritarsi il posto un diritto e dovere.
Un mondo dove l’ambiente non è solo il luogo dei miei propri affari (my own business, potrebbe dire Obama), ma l’accogliente dono della creazione divina da rispettare, su cui puntare e, gentilmente, utilizzare perché il dio denaro sporco di petrolio e sangue non governi le nostre vite.
Un mondo dove scuola e società vadano a braccetto assieme, non siano distanti e si sappiano educare e governare l’un l’altra.
Un mondo dove la tecnologia non venga pensata anacronistica dai non digital-native, incrementando così il digital-divide bensì sia integrata e utilizzata al meglio. Penso a dei database congiunti tra i diversi ministeri, l’eliminazione del cartaceo, la creazione e la gestione delle aule multimediali, e così via.
Un mondo dove chi ci governa ha lo sguardo verso l’alto perché ha fiducia in sé, nel mondo e in Dio e non perché ha fatto troppi lifting.
Un mondo dove c’è qualcuno che mi guarda negli occhi, ricorda le nostre origini storico-culturali, parla un linguaggio chiaro e mi dice: sì, tu puoi.
Could I then?
No, I could not; at least not now, dear Obama.
Chi commenta