Una nomina matura
Gira che ti rigira, la ruota delle nomine e degli incarichi per questo Esame di Stato ha trovato requie a mio favore.
Sono stato infatti nominato come commissario esterno in un liceo linguistico di Roma, per la classe di concorso A037, altresì denominata Filosofia e Storia.
Terza maturità al mio attivo, quarta se includiamo quella in cui ero dall’altra parte dei banchi, mi trovo per la prima volta al di fuori della matrigna protezione della scuola parificata in cui ho prestato finora servizio. Si parrà la mia nobilitate affermerebbe qualcuno, a cui è difficile dargli torto. certo è che giungo a questa chiamata – chiamata da me auspicata – un po’ stanco e stressato da un anno bello ma intenso, che mi ha visto insegnare su più fronti (tre: elementare, liceo e ITAS) per molte ore e di fronte a moltissimi studenti.
Ora mi trovo in una classe di emeriti sconosciuti, con colleghi sconosciuti, in un contesto sociale sconosciuto anch’esso a dimostrare e vantare competenze che spero non siano sconosciute anch’esse!
Certo, l’Esame di Stato è affascinante, sin dal suo vecchio titolo: maturità. Maturità è un termine che vuol dire talmente tante cose che poi si tende a semplificare e a stereotipare una sorta di studente-fantoccio su cui riversare tanti problemi sociali o incapacità nostre di lettura del reale.
Sicuramente lo scarto generazionale che separa me, sull’orlo dei 29, da loro, sull’orlo dei 19, è molto forte. Sono cambiati tempi, mode e linguaggi; capacità di sintesi e rielaborazione dei dati; possibilità di relazioni sociali e trasformazioni dell’intimità di carattere epocale; stati d’animo differenti nell’affrontare una sconfitta o un incitamento.
Noi professori ci troviamo di fronte dei ragazzi un po’ spaesati col mondo che li circonda o meglio, che vi ci sentono talmente tanto dentro da risultarne invece più fuori di quanto immaginano. Padroni della loro vita, in un delirio di onnipotenza, ma quanto più influenzati dal mondo a loro intorno tanto che il loro essere è se è garantito da uno status esterno. Artefici del loro destino nella misura in cui la loro intimità sia svincolata da legami morali o condizionamenti sociali.
La società ci chiede che questi soggetti (tardo) adolescenziali siano maturi e che ciò possa essere certificato con un numero. Un po’ di numeri qua, un po’ là. Uno in più, uno in meno ed ecco che l’alchimia algebrica ha dato i sui frutti.
Basta tutto questo per garantire la maturità a uno studente, a un figlio del tempo e del mondo?
Forse sì, nel gioco sociale a cui stiamo inconsapevolmente giocando. Forse no, se pensiamo che maturare è sinonimo di educare e formare: quanto ancora manca a questo fine e quanto poco si è contribuito!
Vado a dormire ché domani la sveglia è all’alba e, nomina in mano, debbo varcare la soglia del liceo fingendomi uno sveglio e autorevole professore.
Che dite, battaglia persa in partenza? 😉
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