A guisa di neo-borocillina C
Saluto tutti, con profondi inchini.
Durante un’interessante (talvolta capita) lezione ssis, nella mia costante distrazione, dispquisivo con una collega riguardo l’annoso problema che riguarda noi scienziati sociali, prestati alla didattica.
La questio è: “Si deve favorire il contenuto o la forma, nell’azione didattica?”.
La mia collega sosteneva, in maniera abbastanza sincera e fondata sulla sua esperienza nella scuola primaria, quanto alla fine fosse importante la forma, la presentazione di ciò che si dice.
Difficile darle torto. Per molte ragioni che qui, indegnamente e superficialmente, provo a sviluppare:
- Troppo contenuto – I ragazzi si trovano a dover gestire un overflow sempre maggiore di informazioni, spesso molto specifiche o tecniche, spesso ancora molto banali ma che fanno massa. Alcuni di loro, nella scuola primaria, arrivano già scolarizzati e abili nella lingua straniera o nell’informatica.
Il contenuto, inoltre, tende a divenire pesante nella strutturazione del percorso di apprendimento, spesso lasciato alla completa gestione dei ragazzi. - Carenza di modularità – Mi riferisco alla classica trattazione cronologica oppure al sequitur pedissequo del libro di testo; non è un male, sia bene inteso, e ancora adesso anche io ho ancora retaggi positivi a riguardo. Dopotutto chi prepara un libro sa bene cosa metterci dentro.
L’unica obiezione che potrebbe essere addotta riguarda un eccessivo determinismo nella trattazione dei temi lungo la carriera scolastica. Questo potrebbe causare scarsa motivazione e attivazione all’apprendimento. - Poca attrattività – I testi e i percorsi molto contenutistici spesso sono pesanti da leggere e digerire, nonché da vedere e studiare. Pieni di testo o, al contrario, colmi di figure e post-it, essi risultano spesso inconciliabili con una minima concentrazione alla lettura. Spesso inoltre, il semplice parlare, veicolo eccelso per la trasmissione dei contenuti, annoia.
- Conoscenza? – Per portare avanti la conoscenza bisogna, guarda caso, conoscere. Noi neo laureati, abbiamo la pretesa di essere padroni della nostra materia o il sano destrutturalismo che ci è stato trasmesso ci ha resi sempre più consci dell’impossibilità di un sapere organico?
Però, è vero anche che:
- …e quindi? – Cosa rimane ai ragazzi di tante belle scenette/immagini/musiche/film/etc… ? Riescono veramente a capire ciò che, con linguaggi non prettamente verbali, vogliamo trasmettere loro? Riescono a superare l’empasse dei media per far attivare il proprio vissuto per finalità di apprendimento?
- Che bello, che bello, che bello – Un certo eccesso di forma stanca, per tassi troppo alti di estetica. Stucca, per dirla in termini colti e al contempo diviene dipendenza. Serve sempre far di più, più creativo, più esplosivo, più mediatico e più ad effetto. Perché il ripetuto annoia e senza facilitatori, questi poveri ragazzi, come fanno?
- Ciao, professore – Staccando il cordone ombelicale dell’asimmetria educativa si rischia un eccessivo e biderezionale coinvolgimento eccessivo. Si diviene necessari gli uni l’altro, inscindibili. Ci si scrivono email, ci si sente, ci si vede al di fuori dell’orario scolastico. In caso di trasferimento cosa potrebbe succedere? La classe riuscirebbe a proiettare la motivazione estrinseca di apprendimento verso un altro docente? Forse il cordone ombelicale viene solo sostituito, non reciso
Quindi? Che posizione prendere?
Non ci crederete mai e mi accuserete di ipocrisia, ma io scelgo la posizione centrale.
La famosa terza via, per intenderci. Forma e contenuto sono strettamente necessari.
Il contenuto, a mio avviso, è forse l’aspetto meno attitudinale di questo binomio. Si impara, finché la mente lo permette, anche cose nuove e le si possono padroneggiare anche solo spiegando la lezione o dialogando su tali temi con i ragazzi. Inoltre le capacità e competenze di lettura apprendimento nei professori sono (dovrebbero essere) maggiori che nei ragazzi.
La forma, al contrario, risente di una predisposizione attitudinale quasi innata.
Si sa spiegare, si sa appassionare, si sa entrare in contatto con i ragazzi e si sa distruggere-ricreare percorsi didattici. Competenze queste che possono maturare ma già esistono. Chi non le possiede o, molto peggio, pensa che tanto “basta leggere il libro cinque minuti prima e insieme ai ragazzi” dovrebbe pesarci su prima di entrare nel mondo scuola.
Avete presente la Neo-borocillina C? Gustosa all’esterno, per via dell’aroma all’arancia, ma sempre valida a livello curativo.
Resta solo un piccolo problema da analizzare.
Perché tutto questo accanimento nei confronti della metodologia pedagogica in questi ultimi anni? Noi, con i vecchi metodi, siamo o no sopravvissuti?
Sicuramente sì, bisogna vedere come.
Innanzitutto vi è un forte e sempre crescente aumento dell’analfabetismo di ritorno. Forse ci ricordiamo a memoria qualche verso di una poesia del Manzoni, ma non sapremmo certo ri-scriverla o ri-leggerla.
Poi vi è un calo drammatico di lettori dei quotidiani, segno che le attività culturali scolastiche erano limitate a quel contesto; la scuola, inoltre, non è stata quasi mai formativa in ottica umanista o progressista. Noi siamo ancorati a modelli passati, ad una tradizione pedagogica che forse neppure noi capiamo ma che ci ha formato.
La scuola quindi andava ri-pensata anche allora, come oggi.
Oggi si ha il coraggio e per taluni l’incoscienza, di farlo. L’obiettivo deve essere quello di matrice progressista critico. Progressista perché va rinnovato il futuro; critico perché non bisogna mai smettere di porci i dubbi sulle reali finalità in ottica di apprendimento.
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